Agevolazione ‘prima casa’: fatale la comproprietà in comunione col coniuge di un altro immobile

Irrilevante, invece, chiariscono i giudici, il mero riferimento alla comunione legale tra i coniugi

Agevolazione ‘prima casa’: fatale la comproprietà in comunione col coniuge di un altro immobile

Negata l’agevolazione fiscale ‘prima casa’ se l’acquirente è già comproprietario pro-quota con il coniuge in comunione ordinaria di altra abitazione idonea nello stesso Comune. Impossibile, invece, ipotizzare che tale preclusione scaturisca solo dalla comunione legale tra i coniugi.
Questi i punti fermi fissati dai giudici (ordinanza numero 24477 del 3 settembre 2025 della Cassazione) a legittimare la pretesa avanzata dal Fisco nei confronti di una contribuente risultata già titolare di un immobile, in comunione ordinaria con il coniuge, nel medesimo Comune in cui era situato l’immobile acquistato usufruendo dei benefici previsti per la prima casa.
Superato, quindi, l’orientamento secondo cui tale agevolazioni fiscale va
preclusa solo all’acquirente di altro immobile acquistato in comunione con il coniuge, non ritenendo che la comunione ordinaria su altro cespite immobiliare con il coniuge possa integrare la destinazione del bene ad abitazione in via esclusiva.
Secondo la contribuente, premesso che il senso della norma è quello di favorire le esigenze abitative dell’acquirente, la norma, proprio in ragione di tale finalità, preclude il beneficio a chi risulti già titolare esclusivo o in comunione con il coniuge del diritto di proprietà, usufrutto, uso o abitazione di altro immobile capace di soddisfare dette esigenze abitative e che, pertanto per comunione con il coniuge la disposizione si riferisce all’unica situazione giuridica capace di garantire un godimento pieno, esclusivo ed indiviso paritetico a quello del titolare esclusivo: la comunione legale (ovvero, al più, convenzionale) tra coniugi, laddove al contrario, la comproprietà ordinaria di un immobile, sia che si realizzi tra estranei, sia tra coniugi, attribuisce, a suo dire, la titolarità della sola quota di spettanza, e non anche dell’intero bene, non consentendo al singolo di soddisfare quelle sue proprie esigenze abitative tutelate dalla norma.
Sempre secondo la contribuente, quindi, appare ragionevole precludere l’accesso alle agevolazioni fiscali soltanto qualora l’acquirente si trovi nella titolarità esclusiva di altro immobile, ovvero in una situazione giuridicamente equiparabile a quella della titolarità esclusiva e tale situazione equiparabile è, per l’appunto, solo e soltanto quella del regime patrimoniale di comunione dei beni. Ciò perché soltanto tale regime costituisce una comunione senza quote, detta anche a mani riunite, dove ciascun coniuge è da considerarsi titolare esclusivo dei beni oggetto di comunione, secondo l’ormai acquisito concetto di titolarità solidale che giustifica la mera annullabilità (e non già la nullità ovvero l’inefficacia) o perfino la piena validità (se si tratta di beni mobili) degli atti riguardanti beni della comunione compiuti da uno soltanto dei coniugi. Al contrario, nel regime patrimoniale di separazione dei beni con il coniuge (come nel caso in esame), sussiste una situazione di contitolarità che non consente al singolo coniuge di poter godere e disporre da solo dell’intero bene (pena la radicale inefficacia di ogni relativo atto), in modo assolutamente identico ad un bene che si trovi in comunione ordinaria con un soggetto diverso dal proprio coniuge.
Queste valutazioni proposte dalla contribuente vengono respinte dai giudici di Cassazione, per i quali il dato testuale conduce a ritenere configurabile l’esclusione del beneficio fiscale nell’ipotesi della comproprietà (e comunione) tra i coniugi di altro immobile sito nello stesso Comune in cui si trova l’immobile da acquistare. Ciò perché la norma dispone che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare dispone anche che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni ‘prima casa’.
Dunque, ove nel Comune stesso siano ubicati sia l’immobile da acquistare, sia altro immobile, rileva la comunione tout court tra coniugi e non soltanto la comunione legale. E non può limitarsi la dizione comunione tra coniugi, senza ulteriori specificazioni, alla sola comunione legale, come prospettato da parte dalla contribuente. Né rileva, contrariamente a quanto auspicato dalla contribuente, la circostanza che l’immobile in comunione ordinaria rappresenta una proprietà pro-quota indivisa (nella specie, al 50 per cento), giacché quel che conta è la diversa circostanza secondo cui il contribuente possa godere o meno di un immobile da abitare, circostanza che, in caso di rapporto matrimoniale in atto (vale a dire, in mancanza di separazione legale), presuppone appunto la coabitazione tra i coniugi e la disponibilità piena della casa coniugale.
In questa prospettiva non appare in alcun modo condivisibile la tesi della contribuente, secondo cui il legislatore non avrebbe sentito l’esigenza di esplicitare che la comunione con il coniuge è soltanto quella del regime patrimoniale della comunione dei beni: solo questo tipo di comunione è, infatti, come visto, equiparabile ad una titolarità esclusiva.

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