Legittimo coltivare a casa dieci piantine di marijuana
Logico, secondo i giudici, parlare di coltivazione domestica, viste le concrete modalità della coltivazione e visto il numero davvero modesto dl piante (dieci), che, in relazione al grado di sviluppo raggiunto, hanno consentito l’estrazione di un quantitativo minimo di sostanza stupefacente, ragionevolmente destinato ad un uso personale
Possibile coltivare a casa dieci piantine di marijuana. Questo il punto fermo fissato dai giudici (sentenza numero 25929 del 15 luglio 2025 della Cassazione), i quali hanno perciò liberato da ogni accusa un uomo messo nei guai dall’esito della perquisizione effettuata nel suo appartamento dalle forze dell’ordine.
Logico, secondo i giudici, parlare di una mera coltivazione domestica, alla luce dei dettagli della vicenda, ossia concrete modalità della coltivazione e numero davvero modesto dl piante (dieci), che, in relazione al grado di sviluppo raggiunto, hanno consentito l’estrazione di un quantitativo minimo di sostanza stupefacente, ragionevolmente destinato all’uso personale dell’uomo.
Scenario dell’episodio che dà il ‘la’ alla vicenda giudiziaria è la provincia di Catanzaro. A mettere nei guai un uomo è l’esito della perquisizione effettuata nella sua casa dalle forze dell’ordine, ossia il ritrovamento di oltre 2 grammi di marijuana e, allo stesso tempo, di alcune piantine di marijuana.
In primo grado, i giudici ritengono l’uomo colpevole sia per la detenzione di sostanza stupefacente che per la coltivazione di marijuana. In secondo grado, invece, la posizione dell’uomo viene alleggerita: i giudici ritengono non punibile la detenzione degli oltre 2 grammi di marijuana, in quanto destinati ad un consumo esclusivamente personale, mentre confermano la condanna per l’illecita coltivazione di marijuana – dieci piantine suddivise tra quattro vasi, per la precisione –, con pena fissata in quattro mesi di reclusione e 800 euro di multa.
Col ricorso in Cassazione, però, il legale che difende l’uomo sotto processo punta a ribaltare completamente la decisione emessa in Appello. A suo parere, difatti, a fronte del quadro emerso tra primo e secondo grado e poggiato sull’esito della perquisizione domiciliare effettuata dalle forze dell’ordine, è impossibile parlare di coltivazione penalmente rilevante.
Questa drastica visione viene condivisa dai magistrati di Cassazione, i quali, smentendo completamente le valutazioni compiute dai giudici d’Appello, definiscono assolutamente legittima la coltivazione di marijuana allestita tra le mura domestiche dall’uomo sotto processo.
In generale, in materia di stupefacenti, si può parlare di coltivazione domestica non punibile a fronte della messa a coltura di poche piantine di marijuana, collocate in vasi all’interno di un’abitazione, senza la predisposizione di accorgimenti particolari, come impianti di irrigazione e di illuminazione, finalizzati a rafforzare la produzione, e che consentirebbero, in relazione al grado di sviluppo raggiunto, l’estrazione di un quantitativo minimo di sostanza stupefacente ragionevolmente destinato ad un uso personale.
Applicando questa prospettiva alla vicenda oggetto del processo, è imprescindibile partire da un dato: l’uomo sotto processo è stato assolto dal reato di detenzione, a fini di cessione, di 2 grammi di marijuana, e ciò per la semplice ragione che è stata ritenuta comprovata la detenzione a fini esclusivamente personali dello stupefacente detenuto.
Nonostante ciò, però, in Appello si è ritenuta comunque rilevante penalmente la condotta di coltivazione di dieci piantine, in ragione della natura di reato di pericolo del delitto di coltivazione e slegando la rilevanza penale della condotta sia dalle intenzioni del soggetto che dal numero delle piante coltivate ma riconoscendo rilevanza, ai fini della incriminazione, unicamente alla conformità della pianta al tipo botanico previsto per la sua attitudine, anche per Ie modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente.
Tirando le somme, secondo i giudici d’Appello, l’offensività della condotta può essere esclusa soltanto quando la sostanza ricavabile risulti priva della capacita di esercitare, anche in misura minima, effetto psicotropo, mentre, invece, nella vicenda in esame, è risultato rilevante il principio attivo ricavabile dalle piante coltivate dall’uomo sotto processo.
Per smentire la posizione dei giudici d’Appello è sufficiente, chiariscono i magistrati di Cassazione, il riferimento al principio secondo cui devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato, nonché la coltivazione industriale che, all’esito del completo processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente, per mancanza di offensività in concreto, mentre la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita, rimane soggetta al regime sanzionatorio amministrativo.
Ritornando alla vicenda oggetto del processo, per i magistrati di Cassazione è logico parlare di coltivazione domestica, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto (le piante erano coltivate in vasi, senza la predisposizione di particolari cautele per rafforzarne la produzione, quali la predisposizione di un impianto di irrigazione o di illuminazione); al numero davvero modesto dl piante (dieci), che, in relazione al grado di sviluppo raggiunto, hanno consentito l’estrazione di un quantitativo minimo di sostanza stupefacente ragionevolmente destinata all’uso personale dell’uomo, del quale non è stato provato l’inserimento in un contesto dl spaccio.
Quindi, in conclusione, nessuna sanzione è ipotizzabile a carico dell’uomo sotto processo.