Via il dipendente che prova a portar via alcuni prodotti

Evidente, secondo i giudici, la gravità della condotta addebitata, nel caso specifico, al lavoratore di un supermercato

Via il dipendente che prova a portar via alcuni prodotti

Legittimo mettere alla porta il dipendente del supermercato che viene beccato mentre prova a portare via dalla struttura commerciale alcuni prodotti. Questa la secca presa di posizione dei giudici (ordinanza numero 31622 del 9 dicembre 2024 della Cassazione), i quali hanno dato ragione alla società proprietaria di un supermercato, inchiodando il lavoratore alla gravità della condotta da lui tenuta ed emersa solo a seguito di un controllo effettuato a sorpresa, e a struttura chiusa, da due addetti alla sicurezza.
Inequivocabile l’esito del controllo: vengono rinvenuti alcuni beni messi a disposizione dell’azienda da un fornitore e prelevati senza alcuna ragione apparente dal lavoratore.
Per l’azienda non ci sono dubbi: è impossibile avere ancora fiducia nel dipendente, che perciò viene messo alla porta.
Questo provvedimento è ritenuto corretto dai giudici d’Appello. Legittimo, innanzitutto, a loro avviso, il controllo effettuato sul lavoratore. Ciò perché non si è in presenza di una perquisizione personale: difatti, il lavoratore mostrò tranquillamente il contenuto della scatola in suo possesso agli incaricati dell’azienda, quando questi gli chiesero cosa contenesse, come pacificamente riconosciuto dalla difesa del lavoratore e confermato da alcuni testimoni.
Peraltro, i giudici osservano che la norma riguarda le sole visite personali di controllo, ovvero le perquisizioni sulla persona o al più, secondo una interpretazione meno restrittiva, anche sugli effetti personali e di diretta pertinenza della persona, quali gli accessori di abbigliamento come borse, borsette, marsupi, zainetti, che la persona porta abitualmente con sé, tenendoseli addosso. Dunque, nella nozione non può rientrare la scatola di cartone che il lavoratore aveva con sé nel momento in cui è stato trovato dagli incaricati della società, mentre usciva dal luogo di lavoro, scatola, peraltro, con impresso il nome di un fornitore della società datrice di lavoro, pertanto un contenitore chiaramente riconducibile all’azienda e non alla persona del lavoratore.
Provata la condotta contestata al lavoratore, essa è, secondo i giudici, punibile col licenziamento, poiché è prevista quale giusta causa di recesso l’appropriazione, nel luogo di lavoro, di beni aziendali o di terzi, inclusi, quindi, i fornitori.
Tirando le somme, i giudici d’Appello hanno ravvisato la giusta causa di licenziamento alla luce di molteplici dati: primo, la previsione contrattuale collettiva che trova evidente ragione nell’esposizione della merce al pubblico nei supermercati, con necessità di un grado di affidamento molto alto nel personale dipendente che vi opera, unitamente al fatto che nella disposizione non si fa alcun riferimento ad un qualche elemento di pregiudizio o danno economico per l’impresa, da cui discende l’irrilevanza del valore dei beni sottratti; secondo, l’intenzionalità della condotta, dato che il lavoratore ha messo i prodotti all’interno di una scatola, provvedendo poi a sigillarla con il nastro adesivo, prima di portarla fuori dal supermercato; terzo, l’approfittamento delle circostanze di tempo e luogo, dato che quale incaricato della chiusura era da solo nell’esercizio e non poteva immaginarsi di trovare all’uscita i due addetti alla sicurezza; quarto, il grado di affidamento elevato, insito nell’essere incaricato della chiusura e, più in generale, nelle mansioni svolte quale dipendente addetto alla vendita di beni esposti al pubblico, oltre al fatto di essere stato per molti anni ‘capo reparto scatolame’, con un ruolo, quindi, di responsabilità; quinto, l’avere mentito sulla dinamica dei fatti, sostenendo di essersi impossessato di merce abbandonata, nonostante l’evidenza contraria per essere stato visto uscire dalla porta con la scatola sigillata con il nastro adesivo.
Tutti gli elementi probatori portano, alla luce di una valutazione complessiva, a dedurre, secondo i giudici d’Appello, una compromissione irrimediabile del vincolo fiduciario, per il fondato dubbio, da parte dell’azienda, di potere fare affidamento in futuro sulla correttezza del dipendente, al di là del fatto che non avesse precedenti disciplinari nella lunga carriera lavorativa e che i beni sottratti fossero di valore modesto.
A chiudere il cerchio provvedono i magistrati di Cassazione, riconoscendo le ragioni della società datrice di lavoro.
Per quanto concerne il controllo effettuato sul lavoratore, è ritenuta legittima la linea tenuta dall’azienda. Ciò alla luce del principio secondo cui il disposto dello ‘Statuto dei lavoratori’ – che prevede i casi in cui sono consentite, ai fini della tutela del patrimonio aziendale, le visite personali di controllo sul lavoratore – riguarda unicamente le ispezioni corporali, ma non anche quelle sulle cose del lavoratore, atteso che la norma prevede solo la visita personale, che nell’ordinamento processuale, sia civile che penale, è tenuta distinta dall’ispezione di cose e luoghi. Quindi, alla luce della vicenda in esame, è valutabile come corretta la richiesta di apertura del contenitore in possesso del lavoratore, poiché essa riguardava una cosa riconducibile all’azienda e non alla persona del lavoratore.
Per quanto riguarda i presunti dubbi sulla giusta causa di licenziamento, a fronte della condotta tenuta dal lavoratore, i magistrati sottolineano l’idoneità dell’addebito a far venire meno, nel caso specifico, il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e dipendente.

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