Procedura di risoluzione per l’ente creditizio: gli azionisti possono opporre unicamente le obbligazioni o i crediti derivanti dagli strumenti di capitale svalutati già maturati al momento della risoluzione

Decisivo il riferimento a quanto previsto dalla direttiva europea sulla materia della risoluzione bancaria

Procedura di risoluzione per l’ente creditizio: gli azionisti possono opporre unicamente le obbligazioni o i crediti derivanti dagli strumenti di capitale svalutati già maturati al momento della risoluzione

Alla luce della direttiva sulla risoluzione bancaria, in caso di svalutazione totale delle azioni del capitale sociale di un ente creditizio soggetto a una procedura di risoluzione, i suoi azionisti possono opporre a tale ente (o al suo successore) unicamente le obbligazioni o i crediti derivanti dagli strumenti di capitale svalutati che erano già maturati al momento della risoluzione. Ciò perché, chiariscono i giudici (sentenza dell’11 settembre 2025 della Corte di giustizia dell’Unione Europea), quando la procedura di risoluzione implica l’applicazione dello strumento del ‘bail-in’, la svalutazione e la conversione degli strumenti di capitale effettuate ai fini di detto ‘bail-in’ contribuiscono direttamente alla realizzazione degli obiettivi della procedura di risoluzione. Quindi, azioni di nullità o di responsabilità intentate successivamente a tale procedimento comportano il rischio che l’importo degli strumenti di capitale oggetto di un siffatto ‘bail-in’ sia retroattivamente ridotto, nei limiti in cui esse mirano a un risarcimento o a una restituzione pari ai fondi versati per l’acquisto di tali strumenti di capitale prima della risoluzione.
Ragionando in questa ottica, il caso in cui le azioni di nullità e di responsabilità siano state proposte prima della risoluzione si differenzia in modo sostanziale rispetto alla situazione in cui tali azioni siano proposte successivamente a tale risoluzione. Contrariamente a siffatte azioni successive, le azioni proposte prima della risoluzione non sono tali da mettere in discussione la previa valutazione delle attività e passività dell’ente né la decisione di risoluzione fondata su quest’ultima e non sono, pertanto, tali da privare di effetto utile o da ostacolare l’attuazione di una procedura di risoluzione. Pertanto, azioni proposte prima della risoluzione non possono essere considerate come aventi effetto retroattivo, in quanto i rischi finanziari derivanti dalle controversie pendenti sono obbligatoriamente presi in considerazione nella contabilità delle banche quotate in Borsa.
Per quanto riguarda la circostanza che la valutazione possa, se del caso, non prendere in considerazione la totalità dei ricorsi proposti, i giudici dichiarano che un tale grado di incertezza è insito in qualsiasi attività di inventario e può essere considerato parte integrante del rischio generale che deve essere accettato nell’ambito della risoluzione, ai sensi della direttiva sulla risoluzione bancaria, in particolare, dall’ente che acquista l’ente creditizio soggetto a una procedura di risoluzione.
In proposito, i giudici precisano poi che la direttiva prevede una valutazione equa, prudente e realistica delle attività e delle passività di un siffatto ente creditizio, senza esigere che tali attività e passività siano valutate in modo completo e nei minimi dettagli. In particolare, qualora non sia possibile redigere l’elenco delle passività in bilancio e fuori bilancio a causa dell’urgenza dettata dalle circostanze del caso, l’autorità di risoluzione può, secondo le disposizioni di detta direttiva, limitarsi a una valutazione provvisoria che proceda a una stima delle attività e delle passività. Inoltre, i diritti derivanti dalle azioni di nullità e di responsabilità proposte prima della risoluzione possono essere considerati maturati senza necessità che essi siano stati oggetto di una sentenza definitiva anteriormente al momento della risoluzione. Diversamente, l’opponibilità di tali diritti dipenderebbe da circostanze che sfuggono fondamentalmente all’influenza della persona che ha intentato siffatte azioni, laddove invece quest’ultima ha dato prova della diligenza necessaria al fine di ottenere il pagamento dei crediti prima della risoluzione. Inoltre, negare il carattere di ‘maturati’ di tali diritti significherebbe che la decisione di risoluzione priverebbe di oggetto i procedimenti giurisdizionali pendenti, che dovrebbero essere chiusi. Ciò costituirebbe una grave ingerenza nel diritto a un ricorso effettivo, sancito dalla ‘Carta dei diritti fondamentali’ dell’Unione Europea.
I giudici rilevano che l’interpretazione che consente agli azionisti e ai creditori di proseguire azioni di nullità e di responsabilità già in corso al momento della risoluzione della crisi non è tale da compromettere la stabilità finanziaria dell’Unione Europea. Essa non arreca neppure un pregiudizio sproporzionato ai diritti degli eventuali acquirenti di un ente creditizio soggetto a una procedura di risoluzione né a quelli dell’entità succeduta a quest’ultimo a seguito della risoluzione, in quanto tali persone possono altresì venire a conoscenza delle passività di tale ente costituite dai diritti derivanti da siffatte azioni, prima di formulare la loro offerta al fine di acquistare detto ente.
Così i giudici europei hanno preso posizione in merito alla vicenda del ‘Banco Popular’ spagnolo, oggetto di un programma di risoluzione, approvato dalla Commissione Europea, con capitale sociale azzerato, azioni in circolazione svalutate e strumenti di classe convertiti in azioni, trasferite successivamente al ‘Banco Santander’, divenuto successore universale del ‘Banco Popular’, e, nello specifico, in merito ai ricorsi proposti da un numero elevato di acquirenti di diversi strumenti di capitale del ‘Banco Popular’ e diretti alla dichiarazione di nullità dei contratti di acquisto di tali strumenti e alla restituzione del prezzo versato.

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