Dipendente obbligato a restituire l’eccedenza tra quanto percepito in ‘busta paga’ e la retribuzione pattuita: è estorsione
Evidente il danno subito dal lavoratore, costretto a pagare le tasse su quanto incassato formalmente

Sacrosanto parlare di estorsione quando il dipendente dell’azienda viene obbligato, dietro la minaccia della perdita del posto di lavoro, a restituire l’eccedenza tra quanto percepito in ‘busta paga’ (e accreditato sul conto corrente) e la retribuzione pattuita per le giornate di lavoro effettivamente svolte. Respinta la tesi buonista secondo cui la richiesta di restituzione dell’eccedenza indicata in ‘busta paga’ non poteva considerarsi volta a ottenere un ingiusto profitto in danno del dipendente, poiché inerente prestazioni lavorative non effettuate – trasferte, per la precisione – o comunque non pattuite. Impossibile, poi, anche sostenere che non vi sia stato comunque un danno ingiusto per il lavoratore, avendo quest’ultimo comunque continuato a percepire quanto stabilito con il datore di lavoro. Al contrario, è evidente il danno subito dal dipendente, il quale percepiva una retribuzione superiore, restituita poi in parte, e avrebbe dovuto poi pagare le tasse in base a quanto formalmente percepito. (Sentenza 59 del 5 gennaio 2022 della Cassazione)